Quando un cane dominante riesce a tener testa a tutti gli altri maschi del branco, qualche tempo fa, veniva chiamato capobranco. Oggi questa terminologia è in disuso, guai a parlare di cane capobranco, bisogna chiamarlo coordinatore o organizzatore del gruppo, ossia colui che si incarica della responsabilità di garantire al branco la sopravvivenza. Ma perchè mai così tanti studiosi inoriddiscono al pronunciare il termine cane capobranco? Scopriamolo insieme!
Il cane capobranco e gli studi sui branchi
Gli studi sui branchi iniziarono dopo la seconda guerra mondiale e proseguirono fino agli anni Ottanta. Si basavano sull’osservazione di una coppia dominante la quale aveva l’egemonia sul resto del branco. Un filone di studiosi si è basato sull’analisi di animali in condizioni non naturali, si trattava quindi di branchi tenuti in cattività dove si formavano gerarchie strutturate, distinte in alfa, beta, gamma, fino ad omega.
Il risultato di questo studio, ha portato gli scienziati a ritenere che il nostro cane inserito in un contesto umano, si comporterebbe esattamente come se fosse all’interno di un branco di suoi simili. La ragione risiede nel fatto che nei branchi composti da lupi in cattività, si formavano facilmente gerarchie ben strutturate, a differenza di quello che accade in natura dove il branco forma una vera e propria famiglia.
Gli studi si rivelarono parzialmente sbagliati, in quanto svolti in un periodo di tempo troppo breve e basati esclusivamente sulle attività di caccia. In altri termini osservando circa l’1% della vita quotidiana del lupo. Inoltre le teorie desunte dall’osservazione dei lupi, vennero estese anche ai cani e al rapporto con l’uomo. La scuola cinofila degli anni Cinquanta faceva capo al colonnello tedesco Konrad Most Lorenz e vedeva il cane come un animale da dominare e sottomettere alla propria volontà. Si credeva che il cane capo branco fosse in continua competizione con l’uomo e quindi, qualsiasi segnale di ribellione era da contrastare.
Teorie cinofile sul cane capobranco
Esistono tre teorie cinofile ben distinte riguardo al cane capobranco. La prima e la più diffusa, considera il cane alfa al comando di una gerarchia, in grado di mantenere l’ordine per effetto della sottomissione dei membri; in altre parole, un despota! Peccato che questa immagine si adatta benissimo alla razza umana, ma malissimo a quella animale. La seconda teoria invece, prevede un numero illimitato di componenti, ovvero un branco aperto. Questo modello è terribilmente instabile in quanto i componenti del gruppo tendono a competere tra di loro per le risorse. Infine la terza teoria vede il membro più forte sottomettere gli altri, aggiudicandosi la gran parte dei beni.
A pensarci bene nessun gruppo ha il capobranco, forse è lo stesso termine ad essere ingannevole, perché viene sempre interpretato e assimilato al concetto di un capo all’interno della società umana. In quest’ultima infatti, il boss è quello che comanda, ma non funziona così nel mondo canino. In natura, un cane difende le risorse solo se ritiene che sia necessario farlo, ma senza imporre comandi agli altri! Il branco è come una squadra di calcio, ci sono undici giocatori che giocano insieme in modo autonomo e per il bene della squadra; se proprio vogliamo parlare di capobranco, pensiamolo come il capitano di quest’ultima.