TAR VS Calabria, vietare di nutrire cani randagi è maltrattamento

vietato nutrire cani randagi

Dopo il TAR del Molise sez. I, che con sentenza n. 527 del 17/9/2013 ha dato ragione a chi sfama i randagi, in quanto i cani senza cibo possono diventare aggressivi verso l’uomo, bloccando così l’ordinanza del 2008, firmata dal sindaco Di Fabio, che vietava di dare cibo ai cani senza padrone. Si legge nella sentenza del TAR Molise:

«L’ordinanza comunale impugnata impone soluzioni sproporzionate e manifestamente illogiche al problema del randagismo, da affrontare con strumenti consentiti dalla legge: sterilizzazioni veterinarie, ricovero in strutture protette e campagna di adozioni».

Un Consiglio comunale aveva deliberato un Regolamento “per la detenzione dei cani e la prevenzione del randagismo”, e all’art. 5 aveva stabilito

il divieto assoluto di alimentare, anche saltuariamente, cani vaganti di proprietà altrui o senza proprietario

vietato anche di

lasciare alla portata dei cani vaganti rifiuti contenenti residui alimentari, e favorire l’ alimentazione di cani di cui non si conosca la proprietà o la provenienza”.

Dopo il TAR Puglia Sez. Lecce che dichiarava illegittima, con sentenza 1736 dell’11 agosto 2014 l’ordinanza del sindaco di nutrire i cani randagi in quanto in contrasto con la legge 281/91, è la volta della Calabria. Anche in questa regione il TAR ha accolto il ricorso di alcune associazioni ambientaliste contro il provvedimento di alimentare cani e gatti randagi.

Anche in questo caso le Associazioni per la Tutela degli animali hanno presentato ricorso contro il regolamento comunale in quanto in contrasto con la Legge statale 14 agosto 1991, n. 281, e con la legge regionale n. 41/1990, entrambe rivolte a favore degli animali e per la prevenzione del randagismo. Il TAR Calabria, come quello molisano e pugliese ha accolto il ricorso. Con sentenza n. 1135 del 27 giugno 2015 il TAR Calabria – Catanzaro, sez I, ha argomentato in modo analogo ai collegi molisani e pugliesi.

Ora anche i comuni calabresi si dovranno adeguare alla sentenza del TAR. Quello che ci domandiamo è se non sia il caso che intervenga il parlamento e trasformi in norma statale il divieto di vietare di alimentare i randagi, in quanto appare chiaro che le giunte comunali si comportano come all’epoca dell’Italia non unita, ossia legiferando per proprio conto senza badare alle altre regioni e fare attenzione alle leggi statali, costringendo il TAR ad intervenire più volte sullo stesso argomento e in modo analogo a causa delle divisioni geografiche con un notevole aggravio dei costi di udienza sui contribuenti. Si tratta tra l’altro di interpretazioni facilmente deducibili non solo dalla legge statale n. 281/91, ma anche dalle evenienze empiriche naturaliste: in altri termini, lo sapevano anche gli uomini della preistoria che un essere vivente affamato (compreso l’uomo) può diventare molto aggressivo. Il nostro paese è capace quindi di spendere i soldi del contribuente per imporre ai governanti locali concetti scontati e preistorici.